martedì 17 gennaio 2012

Torpignattara, suicidio o vendetta

Torpignattara, suicidio o vendetta
Si indaga sulla criminalità cinese/
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Indagini su uno dei killer di Joy e Zhou trovato impiccato in un casolare a Boccea. Complice ricercato in Francia


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di Valentina Errante e Paola Vuolo
ROMA - Lo stavano ancora braccando. Senza sosta, con i blitz e una caccia aperta in tutta la città. E quando domenica i carabinieri sono arrivati in quel casolare, al quattordicesimo chilometro di via di Boccea, non si aspettavano di vedere penzolare con un cappio stretto al collo il corpo di Mohamed Nasiri, classe ’81, uno degli uomini più ricercati. Uno dei due magrebini che la sera del 4 gennaio ha aggredito Zhou Zheng a Tor Pignattara, quella rapina finita con la morte dell’uomo e della sua bambina di 9 mesi.

Mohamed è il più giovane dei due marocchini che volevano rubare i soldi alla coppia di cinesi e hanno finito per uccidere. Ha solo piccoli precedenti, lesioni, droga e ricettazione. Il complice, la presunta mente dell’agguato, presumibilmente è già all’estero. Forse in Francia. E’ lì che lo cercano. Una corda bianca, nuova, appesa a un gancio a quattro metri d’altezza e, ai piedi dell’uomo, un mobile basso, troppo basso, a fare da scala. Poi, oltre a una bottiglia di ammoniaca, a quella di latte, a una confezione di pane affettato, a un contenitore con succo di pompelmo, le buste di veleno per topi. Quelle che fanno nascere i sospetti e pensare che Mohamed, forse, non si sia suicidato. Nella tasca dei jeans aveva 300 euro e lo scontrino di un ferramenta, forse è lì che ha comprato la corda. Porta la data del 9 gennaio, quando Mohamed avrebbe comprato anche un coltello da cucina. Così dicono i carabinieri.

I militari del nucleo investigativo erano stati sulle sue tracce fino a pochi giorni fa, ma Mohamed era sempre riuscito a seminarli, ce l’aveva fatta per poco. O forse gli investigatori avevano sperato fino all’ultimo che potesse incontrare da qualche parte il complice, per sorprenderli insieme, e avevano deciso di non intervenire. Così avevano seguito il cellulare, fino al 9 gennaio, quando il segnale era sparito. Perché Mohamed aveva spento il telefonino trovato ai piedi del suo cadavere.
Ed ecco quella chiamata, arrivata dopo l’allarme lanciato da alcuni ragazzi appassionati di Softair: erano andati nel campo, vicino al casale per allentarsi, per sparare con i fucili ad aria compressa, come facevano sempre. Sul terreno c’è ancora un mare di pallini bianchi. E invece gli appassionati di simulazioni militari hanno trovato un cadavere, quello di Mohamed. Dietro al capanno con quel cartello: «Basta con i giochi di guerra».

L’uomo che dal 4 gennaio fuggiva e insieme al suo complice era stato immortalato dalla telecamera di una banca dopo quella maledetta rapina, aveva scelto di abbandonare i 16 mila euro rubati, il bottino costato la vita alla piccola Joy. Non è mai stato del tutto chiaro neppure il motivo di questa scelta. Il panico, le macchie di sangue sulle banconote, o forse l’idea di riprendere il denaro in un altro momento. I carabinieri del comando provinciale non hanno dubbi sul suicidio, spiegano di avere rintracciato anche il titolare del ferramenta. L’uomo avrebbe riconosciuto la foto segnaletica di Mohamed. E dice di ricordare quel magrebino che alcuni giorni fa si era presentato a comprare la corda per farla finita. Ma non basta. Perché la scena del delitto deve ancora essere ricostruita.

Ieri il vertice in procura è cominciato nel tardo pomeriggio, il procuratore vicario Giancarlo Capaldo, l'aggiunto Pierfilippo Laviani, il capo del reparto operativo Salvo Cagnazzo, il capo del nucleo investigativo dei carabinieri Lorenzo Sabatino, hanno consegnato la versione ufficiale: suicidio. Ma le indagini sono aperte. Sull’identità di Mohamed non ci sono dubbi: la foto, le impronte, i parametri antropometrici. Coincide tutto. E’ lui che stavano cercando e non hanno fatto in tempo ad arrestare. Adesso sarà l’autopsia a stabilire come sia morto.

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