La società amministrata da Pierfrancesco Guarguaglini è stata la "tasca" della Politica. Dal nero creato da alcune delle controllate dalla holding sono state ritagliate in questi anni le provviste - "le zucchine" - per pagare i partiti. Così si ottenevano gli appalti. Le carte, i verbali, gli interrogatori
"Quel faccendiere non è mio consulente" le verità di Guarguaglini smentite dai pm
Pier Francesco Guarguaglini
Nelle carte della procura le prove degli incontri, delle cene e dei regali di Cola al presidente. Che dice: "L'ho frequentato poco". Ma è un rosario di bugie di CARLO BONINI
ROMA - Sostiene oggi Pierfrancesco Guarguaglini, indagato per frode fiscale, di aver commesso un solo "errore" in questi quindici mesi che hanno scandito l'affare Enav-Finmeccanica. Un "errore di valutazione" sul conto di Lorenzo Cola, già consulente globale della holding e oggi testimone d'accusa della Procura. È così? Le carte dell'inchiesta, al netto del merito della vicenda penale, documentano dell'altro. Un rosario di bugie.
"Cola? Fate attenzione a quello che scrivete" È il 29 maggio del 2010. Guarguaglini è a Malpensa. Da qualche settimana, Repubblica ha acceso un faro sulla holding e sull'ipotesi, cui lavora la Procura, di corruzioni legate all'impiego di fondi neri. Ha svelato, soprattutto, chi sia un misterioso signore che risponde al nome di Lorenzo Cola. Quale sia il suo vero mestiere.
Il Presidente è sbrigativo: "Cola? Lo conosco. Ha lavorato su mandato di Finmeccanica". "Lo considera affidabile?", domanda Repubblica. "È un professionista. Ha lavorato per una società di Ernst&Young. Finmeccanica gli ha affidato più di un incarico. Non è assolutamente un consulente né del sottoscritto, né di mia moglie Marina Grossi. E comunque, abbiamo dato mandato ai legali di tutelarci contro chi vuole danneggiare la società. Bisogna fare attenzione a quello che si scrive, soprattutto dopo che anche il Procuratore generale di Roma ha negato che ci sia un'inchiesta che riguarda Finmeccanica".
Già in quei giorni di maggio, le affermazioni di Guarguaglini - lo documentano gli atti di indagine - tacciono la verità su una circostanza cruciale. Cola, in quel momento, "è" un consulente a pieno titolo della holding. Solo per dirne una, lavora per la controllata "Selex" da almeno sei anni.
Di più: le intercettazioni telefoniche lo sorprendono a colloquio con cadenza giornaliera con Lorenzo Borgogni, direttore delle relazioni esterne di Finmeccanica e con Vittorio Savino, capo della sicurezza del Gruppo. Guarguaglini infatti non lo sa, ma dal febbraio di quell'anno, i telefoni dell'intero vertice della holding (anche i suoi) sono ascoltati (e lo rimarranno fino ai primi giorni di dicembre). E quello che captano documenta il panico in cui i vertici del Gruppo sono precipitati.
"Non posso chiamare il mio Odino" Non più tardi del 26 maggio 2010, infatti, quattro giorni prima dell'uscita pubblica a Malpensa, Cola pensa bene di abbandonarsi al telefono a qualche confidenza con un amico americano. Il "consulente globale", in quei giorni, è negli Stati Uniti, dove Finmeccanica gli ha detto di restarsene per un po'. "Lo staff italiano è cotto - dice - Mi seguono come pulcini. Mi hanno detto: "Non vogliamo scocciarti, ma per una volta devi vedere la partita da lontano". Quindi, aggiunge: "Mi sento come Thor. Peccato che non possa chiamare il mio Odino. È un rischio".
Già, tra "Odino"-Guarguaglini e Cola deve essere scavato un solco profondo. Al punto che il Presidente, il 12 luglio di quell'anno, decide di dissimulare goffamente la verità anche di fronte ai pm. Cola, infatti, è stato arrestato a Roma dai carabinieri del Ros soltanto quattro giorni prima e in piazza Montegrappa l'allarme è massimo.
"Cola? L'ho frequentato poco" Dice Guarguaglini in Procura: "Cola? L'ho conosciuto alla fine del 2006, inizi 2007 e l'ho frequentato poco. Ebbi in regalo da lui un orologio dopo la conclusione di un'operazione importante per Finmeccanica". Il Presidente della holding è così smemorato da non ricordare di essere stato a cena da Cola solo qualche mese prima per un incontro riservato con Guido Pugliesi, ad di Enav. Né di aver affidato a quell'uomo che fatica a mettere a fuoco il delicato compito di ambasciatore di Finmeccanica presso l'allora ministro del Tesoro Giulio Tremonti e il suo consigliere personale Marco Milanese. Che si tratti di discutere dell'operazione che la holding deve chiudere con i fondi sovrani della Libia di Gheddafi o delle nomine nelle società controllate.
"Con Tremonti ho un ottimo rapporto" Passano i mesi, ma lo spartito non cambia. La verità continua a fare difficilmente rima con le prese di posizione pubbliche di Guarguaglini. Il 17 novembre 2010, il Presidente parla nuovamente con Repubblica. "Con Tremonti - dice - ho avuto sempre ottimi rapporti anche se qualche volta le idee non coincidevano. Ma questo è normale. Mi pare che Tremonti condivida la mia politica".
E ancora: "Le vicende giudiziarie mi hanno toccato relativamente, perché non sono mai stato inquisito. Per quanto mi riguarda penso che non mi possa assolutamente succedere niente. E anche mia moglie può stare tranquilla. Quanto a Cola, ho accettato uno degli orologi regalati a manager di Finmeccanica in occasione di un'acquisizione. È la consuetudine".
Non passa neppure una settimana e Marina Grossi riceve un avviso di garanzia per corruzione e frode fiscale nell'inchiesta Enav. Lo stesso Guarguaglini viene iscritto al registro degli indagati. Ma quel che è peggio, le parole melliflue su Tremonti dissimulano la furia che, nei suoi confronti, il Presidente della holding ha accumulato, ritenendolo l'ispiratore di un fantomatico complotto giudiziario ai suoi danni.
Alla fine di maggio del 2010, infatti, e come oggi documentano gli atti istruttori, Lorenzo Borgogni annuncia al telefono che sul professore di Pavia la holding "sta per cominciare un'offensiva di dossier". Che deve aggredirlo e dunque ricattarlo con rivelazioni che frughino nella sfera sessuale e in quella delle "case a Roma" e delle "barche in affitto".
La soluzione della vertenza sullo stabilimento in Sicilia, che da oggi cessa ufficialmente la produzione, potrebbe essere più vicina. Fiat sarebbe disponibile a mettere risorse che mancavano per la mobilità incentivata degli operai. Vescovo di Palermo: "la chiusura rischia di far aumentare la mafia" Operai in presidio a Termini Imerese ROMA - Il ministro dello Sviluppo economico Corrado Passera ha convocato per domani mattina alle 10 Invitalia, l'advisor del ministero e i sindacati metalmeccanici sullo stabilimento di Termini Imerese 1, informano fonti sindacali. La soluzione della vertenza sullo stabilimento palermitano, che da oggi ha cessato la produzione, potrebbe essere più vicina: Fiat, secondo alcune fonti, sarebbe disponibile a mettere risorse che mancavano per la mobilità incentivata. Si tratta di una "riunione propedeutica all'incontro già fissato per il pomeriggio del 30 novembre presso lo stesso ministero tra tutti i soggetti interessati alla vertenza di Termini Imerese", ha detto il segretario generale della Uil, Rocco Palombella, durante la quale "si verificheranno esclusivamente tra le due parti presenti se esistono le condizioni per arrivare ad un'intesa positiva sul futuro dello stabilimento siciliano". E' proprio l'accompagnamento alla mobilità il nodo principale nella trattativa per il passaggio dello stabilimento da Fiat alla molisana Dr Motor. Gli incentivi sono necessari per ridurre il bacino di dipendenti da riassumere: attualmente nel sito sono occupati 1566 lavoratori mentre il patron della Dr, Massimo Di Risio, sarebbe disposto a prendere in tutto 1.312 dipendenti 2. Inoltre, c'è l'indotto da garantire, circa 350 lavoratori. Per ridurre il bacino dei dipendenti da trasferire da Fiat a Dr si farebbe, quindi, ricorso alla mobilità incentivata verso la pensione. Uno strumento che, però, avrebbe dei costi finora considerati dal Lingotto troppo alti. Mercoledì scorso le parti, al termine dell'ennesima riunione al dicastero dello Sviluppo economico, si erano date appuntamento per mercoledì 30 novembre, data in cui ci si aspetta di arrivare a una soluzione definitiva per lo stabilimento. La giornata di ieri 3è stata vissuta con rabbia e disperazione nello stabilimento, che alle 22 ha concluso il secondo turno di produzione, l'ultimo dopo 41 anni di attività: da oggi l'azienda del Lingotto cessa ufficialmente la produzione nell'impianto aperto nel 1971, che garantiva il posto a 2200 dipendenti tra diretti e indotto. Gli operai da ieri mattina sono radunati in presidio davanti ai cancelli, e ieri sera hanno impedito l'uscita dalla fabbrica delle ultime automobili assemblate. Di notte hanno acceso il fuoco per scaldarsi vicino a due gazebo e per dormire qualche ora si sono riparati nelle proprie auto messe di traverso davanti il cancello dello stabilimento per impedire l'uscita delle bisarche con le auto. Le vetture, come hanno spiegato i sindacati, non lasceranno Termini Imerese finchè l'azienda non avrà concluso un accordo che garantisca un futuro certo ai dipendenti, e le tuteli nella fase di transizione al nuovo proprietario. Sul tavolo, quindi, c'è la questione legata alla possibilità del prepensionamento di quei lavoratori che abbiano maturato le condizioni per usufruirne; un aspetto in cui potrebbe rivelarsi determinante il ruolo della regione siciliana, che si è detta pronta a verificare "se esistono strumenti ulteriori per concorrere agli incentivi alla mobilità". Sulla chiusura di Termini Imerese si è espresso anche il vescovo di Palermo, monsignor Paolo Romeo, che in un'intervista a Radio Vaticana ha lanciato l'allarme: "si rischia di far aumentare la criminalità organizzata nel Sud Italia, più volte ho attirato l'attenzione su questo ed ho fatto un appello alla responsabilità", ha dichiarato. Ed ha accusato la politica non di impotenza ma di indifferenza, "perché ha perduto come obiettivo la promozione del bene comune e soprattutto l'attenzione alle persone". Anche per il presidente della Regione Siciliana, Raffaele Lombardo, lo stop all'impianto palermitano rappresenta un fatto drammatico. "Ma non ci scoraggiamo", ha detto. "Abbiamo avviato un lavoro duro, faticoso e costoso che dovrebbe vedere subentrare un imprenditore di medie dimensioni, sperando che possa insediarsi e ben produrre".
Il quotidiano della Cei: "L'Italia ha ritrovato il suo posto in Europa". Il Senatur: "Sono degli improvvisati". "Ius soli? Non ci servono nuovi immigrati". La replica del Cavaliere: "Me ne sono andato per nresponsabilità, non per altri motivi"
(ansa)
VARESE - Umberto Bossi offre una sua personale lettura delle dimissioni di Berlusconi: "Gli hanno ricattato le imprese che sono crollate in borsa del 12% in un giorno e non si e' mai visto. Era evidente che fosse un segno di ricatto, ma tutti siete stati zitti - (dice Bossi ai cronisti ndr) - Ero presente anche io i suoi dirigenti a Roma gli hanno detto 'Silvio qui ti distruggono le imprese vai a dimetterti'". Berlusconi, però, a passare per uno che ha ceduto ad un ricatto non ci sta. E replica: "Le mie dimissioni sono state motivate dal senso di responsabilità e dal senso dello Stato, nell'interesse esclusivo del paese. Non esiste nessuna altra motivazione". Bossi, poi, va all'attacco dei tecnici. E' una bocciatura senza appello quella che il Senatur riserva all'esecutivo Monti. Che, assicura il leader leghista, non arriverà al 2013 "Sono degli improvvisati. E' un governo che fa schifo. Il presidente della Repubblica ha dato mandato di capo cordata a uno che le montagne le ha viste solo in cartolina" aggiunge il leader della Lega Nord, riferendosi a Mario Monti. Questo esecutivo, per il Senatur, "è lento e i contenuti sono lacrime e sangue. Il presidente della Repubblica ha dato mandato di capo cordata a uno che le montagne le ha viste solo in cartolina". Schierato all'opposizione il Carroccio torna all'antico e annuncia che al cosidetto parlamento della Padania (convocato per il 4 dicembre), si discuterà "di come la Padania, non potendo più mantenere l'Italia, debba trovare la via per la sua libertà". Infine l'immigrazione. A Giorgio Napolitano che chiede la cittadinanza italiana ai bambini stranieri che nascono in Italia, Bossi oppone un secco no: "Lo ius soli non va bene, non significa aiutare gli immigrati che sono già qui ma farne venire un sacco di altri. E l'unica cosa di cui questo Paese non ha bisogno sono altri immigrati".